La presenza della disabilità per la persona che la vive e per la sua famiglia, è un fatto che rompe i precedenti e le diverse considerazioni di ciò che è normale.

Per il portatore di handicap, si distinguono almeno tre situazioni:
- La persona è divenuta disabile (menomata in una o più abilità e subisce un handicap oggettivo, soggettivo e sociale)
- La persona è sempre stata disabile, fin dalla nascita o fin da piccola
- La menomazione funzionale della persona – la sua disabilità – è più o meno stabile, o è invece progressiva, a prescindere dall’essere congenita o acquisita
Queste tre prospettive, alcune ma sicuramente non le uniche, differenziano anche molto il vissuto psicologico e le situazioni concrete, tanto della persona portatrice dell’handicap, quanto della sua famiglia e di chi gli sta intorno (amici, colleghi, estranei), nonché la capacità di relazionarsi verso il mondo – dei “normodotati” – e viceversa.
La disabilità acquisita altera e rompe precedenti equilibri: organici, psicologici e sociali, determinando soprattutto negli adulti una perdita sequenziale di ruolo, status e integrità, tanto corporea che psichica.
La disabilità fin dalla nascita o dalla tenera infanzia, genera la rottura di quanto sopra a partire dal livello dell’immaginario – nei genitori e nei familiari, che nel bambino si rispecchiano e vedono sovente se stessi e il proprio futuro – insieme a tutta una serie di difficoltà materiali e sociali, relative all’integrazione e al percorrere da parte del figlio le necessarie tappe dello sviluppo infantile normale.
Alcune abilità e la loro acquisizione diviene indispensabile per il fanciullo, per procedere nella crescita e avere quegli strumenti atti ad accedere con senso e senza frustrazioni o fallimenti eccessivi, proseguendo negli ambienti, come ad esempio l’asilo o la scuola.
La difficoltà o l’impossibilità di raggiungere le fondamentali tappe e possibilità di sviluppo, pur mantenendo integra la persona del fanciullo – che rimane un intero completo non menomato nel suo essere – determina difficoltà per il bambino e porta a volte (spesso) i genitori al limite e ben oltre, rispetto a ciò che prospettavano come normale, in relazione a ciò che avrebbe fatto il proprio figlio o figlia, in che modo e con che tempi. La frase: “farà le cose …normalmente […] come tutti gli altri…”, viene sovente presto o tardi abbandonata, per assumere una più dolorosa prospettiva, ma anche più onesta e proprio a partire da ciò si può ripartire, nel pensare e costruire il percorso della quotidianità e la vita in divenire.
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